Bullismo, Filippo Sensi: «Quando mi chiamavano Cicciobomba»

L'onorevole Pd che ha commosso l'aula con il suo discorso contro il fat-shaming: «Quando cadde Renzi decisi di mettermi a dieta. E persi 40 chili. Ma ci sono insulti che non si dimenticano»
Bullismo Filippo Sensi «Quando mi chiamavano Cicciobomba»

Filippo Sensi ha parlato di se stesso. Davanti all’aula della Camera, davanti alle camere dei giornalisti, l’onorevole Pd ha raccontato di quando era un «cicciobomba», un «trippone», una «palla di lardo». Di quando una volta un ragazzino gli gridò «Sensi mi fai senso» e lui lo ricorda «come fosse adesso». Non l’ha fatto «per vittimismo», ma perché alla Camera si esaminava la proposta di legge sul bullismo, e ci teneva a illustrare un ordine del giorno relativo al «bodyshaming». Da abilissimo esperto di comunicazione politica (è stato portavoce di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi), sa che il miglior modo per far passare un tema è attraverso una storia. E la migliore, solo per questa volta, era la sua. Nato 51 anni fa a Roma, è sempre stato «un grasso». Uno che ogni giorno riceveva, come altri, «delle piccole umiliazioni, magari sotto forma di battuta».

Lei come reagiva?«Mangiavo di più. Mi sentivo inadeguato e cercavo una gratificazione istantanea in altro cibo».

È una reazione comune?«Sì. Uno studio della Florida State University ha scoperto che le vittime di fat shaming sono due volte e mezzo più a rischio di ingrassare ulteriormente. Gli insulti fisici sedimentano nella mente di chi li subisci. Alcuni riescono a dimenticarli, altri no».

Lei li ha dimenticati?«Non del tutto. Ma col passare del tempo ho imparato a giocare sul mio peso, a scherzarci sopra assieme agli altri».

Si è mai sentito obbligato a provare delle diete in quegli anni?«Ne ho provato diverse, ma senza grossi risultati».

E poi?«Alla fine del 2016 ero portavoce di Palazzo Chigi. Durante i giorni del passaggio di consegna tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni decisi che era venuto il momento di avere un’alimentazione più regolare».

Come mai?«Poco prima avevo fatto delle analisi che non erano perfette. Il nuovo governo fu la molla che usai per provare a cambiare regime alimentare».

Nuovo governo, nuova dieta. Cos’ha fatto?«Come prima cosa, ho smesso di bere i quattro litri quotidiani della bevanda zuccherata che ingurgitavo ogni giorno. Una sera, come il protagonista de La Coscienza di Zeno che fuma l’ultima sigaretta, ho bevuto l’ultima lattina, l’ho buttata nel cestino e ho iniziato una nuova alimentazione».

Com’è andata?«Da allora ho perso 40 chili. Ne pesavo 131, adesso 90».

Ha ricevuto mai insulti sul suo fisico durante la carriera parlamentare?«È capitato. Il linguaggio politico italiano è ancora molto fisico e machista. Ma vorrei precisare una cosa».

Dica.«Quando si parla di bodyshaming, così come di bullismo, non dovremmo tracciare due campi separati, con le vittime sofferenti da una parte e i bulli dall’altra».

Cosa dovremmo fare?«Realizzare che ognuno di noi può essere, anche involontariamente, l’uno e/o l’altro. Sarà capitato anche a me di fare battute sbagliate o poco accorte che avranno offeso la sensibilità di qualcuno».

Ha l’occasione di scusarsi. Vada.«Nel 2016, per esempio, inviai per sbaglio a un gruppo Whatsapp di giornalisti un messaggio destinato ad altri. “Proviamo a menare Di Battista sul discorso della Libia ricordandogli l’Isis”. Ovviamente venne pubbicato. Ecco, non intendevo ovviamente menare in senso fisico. Ma credo nella responsabilità personale, e me ne scuso».

Cosa dovrebbe fare la politica secondo lei su temi così delicati?«Lavorare sull’informazione e sulla prevenzione. E, in alcun casi, normare con interventi ben circoscritti. Non è facile, perché a volte una “ipergiuridicizzazione” del linguaggio può produrre dei mostri giuridici».

In attesa di interventi del genere, com’è stato il suo giorno dopo la confessione da «cicciabomba»?«Sorprendente. Ho ricevuto i ringraziamenti di tanti che ci erano già passati. Un collega del Movimento 5 Stelle, mai sentito, è venuto a cercarmi».

Che le ha detto?«“Anch’io ho sofferto tantissimo. Da piccolo storpiavano il mio cognome perché ero grasso”. Ci siamo capiti subito».

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