MIND THE ECONOMY

I «superpolli» e i disastri di una società segregata

Le disuguaglianze vanno ridotte non cristallizzate. Per questo occorre contrastare la tendenza nel nostro paese a formare classi il più possibile omogenee dal punto di vista dello status socio-culturale delle famiglie dei ragazzi

di Vittorio Pelligra

(Agf)

9' di lettura

Negli Anni '90 il biologo evoluzionista William Muir condusse un esperimento sulla riproduzione delle galline. L'idea era quella di ottenere esemplari più produttivi attraverso un processo di selezione successiva. Muir formò due gruppi: il gruppo di controllo era composto da galline dalla produttività media (in termini di uova deposte), mentre il secondo gruppo era formato da animali altamente selezionati sulla base delle loro elevate performance. Galline altamente produttive che Muir chiamò "super-chicken".

A questo punto occorreva solo far passare il tempo e verificare se, generazione dopo generazione, l'andamento della produttività dei due gruppi avrebbe iniziato a divergere. L'ipotesi era che i super-selezionati super-chicken, col passare del tempo avrebbero incrementato la loro produttività, in un processo di miglioramento continuo della specie. Dopo sei generazioni, quando Muir osservò il risultato finale del suo esperimento, capì che qualcosa, nelle sue ipotesi, era profondamente sbagliato: gli eredi del gruppo di controllo, quello delle galline "mediocri", erano tutti, infatti, belli paffuti, in salute e altamente produttivi. Le galline superstar, invece, erano quasi tutte morte, uccise a colpi di becco dagli unici tre esemplari superstiti.

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Questa storia mi è tornata alla mente, per qualche ragione, dopo aver letto dell'istituto comprensivo di Roma che, nella presentazione della scuola, su sito web, ha scritto che «l'ampiezza del territorio rende ragione della disomogeneità della tipologia dell'utenza che appartiene a fasce socio-culturali assai diversificate». Ora sul sito rimane solo questa innocua frasetta, ma, prima che scoppiasse la polemica, si poteva leggere anche altro. Per esempio, che due dei plessi scolastici «accolgono alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto», mentre in un'altra sede vengono accolti «prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell'alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)».

Aspettativa di vita tarata sullo stradario
Sono convinto che queste frasi, al di là del loro tono anacronistico, non dovrebbero sorprendere, né scandalizzare nessuno. Non siamo ipocriti! La nostra società è diseguale; le nostre città sono diseguali; i nostri quartieri sembrano appartenere, a volte, a mondi differenti, perché, in parte, rispecchiano mondi differenti. Facciamo una passeggiata nella civilissima Torino. Se prendiamo il tram dalla zona della precollina, fino al quartiere delle Vallette, per ogni chilometro percorso che ci allontana dalla zona "bene" del centro, verso la periferia, potremo verificare che l'aspettativa di vita degli abitanti si riduce di cinque mesi. Alla fine della passeggiata, all'interno della stessa città, saremo passati da una zona i cui abitati hanno un'aspettativa di vita di 82,1 anni, ad una nella quale, invece, si può sperare di vivere in media, 77,8 anni; quasi quattro in meno. Ma lo stesso succede a Londra. Percorrendo la Jubelee line della metropolitana, dal centro verso la periferia, ad ogni fermata si perdono sei mesi di vita. A Glasgow e a Washington, sono stati rilevati divari ancora più impressionanti, fino a 15 anni di differenza nell'aspettativa di vita tra i quartieri del centro e quelli della periferia.

Classi eterogene e "parità di trattamento"
Anche Roma non fa eccezione. Per questo non ha senso meravigliarsi del fatto che due plessi dello stesso istituto ospitino alunni provenienti da contesti socio-economici differenti. O che la scuola lo dichiari. Sorprendono di più le reazioni di ipocrita sorpresa e di inutile sdegno e gli articoli di stampa intrisi di biasimo e condanna. Dovremmo chiederci piuttosto quali sono le conseguenze di questo stato di cose, c ome gestire al meglio queste disuguaglianze e possibilmente come attivare processi che riescano a contrastare la sistematica tendenza alla crescita della disuguaglianza. Una questione più rilevante della presenza di bambini appartenenti a classi sociali differenti, candidamente e un po' ingenuamente rappresentata dalla scuola di Roma, sarebbe, per esempio, quella relativa ai criteri utilizzati dalla direzione della scuola per formare le classi nel plesso dove coabitano i figli dell'alta borghesia con quelli dei loro giardinieri e delle loro badanti: classi omogenee per "pedigree" familiare o classi, volutamente, miste? Questo dato, sì che sarebbe interessante conoscerlo. Perché i criteri utilizzati per formare le classi influenzano in modo significativo i risultati ottenuti dagli studenti. E i dati della Fondazione Agnelli mostrano che la tendenza nel nostro paese, purtroppo, va verso la formazione di classi il più possibile omogenee dal punto di vista dello status socio-culturale delle famiglie dei ragazzi. Classi di "super-polli" che, però, alla fine, danno risultati peggiori. Le classi "miste", eterogenee per composizione, invece, a parità di condizioni, fanno bene a tutti; ai figli dei poveri, come a quelli dei ricchi.

Ma forse questo né i presidi, né i genitori lo sanno. Significa che i risultati sono migliori nelle classi eterogenee, a patto che queste ricevano lo stesso trattamento delle classi "selezionate". Il problema è che il "trattamento" spesso non è lo stesso. Estese ricerche mostrano, infatti, che i docenti delle classi miste tendono ad adottare un atteggiamento più fatalista nei confronti dei loro studenti, che la qualità dell'insegnamento impartito in queste classi è inferiore, che il numero delle ore dedicate all'insegnamento piuttosto che a esercizi ripetitivi è minore, così come lo sono le gratificazioni e gli incoraggiamenti rivolti agli alunni (Dupriez V., Draelants H., 2003. "Classes homogènes versus classes hétérogènes: les apports de la recherche à l'analyse de la problématique", Cahier de Recherche du GIRSEF, Louvain-la-Neuve, n. 24). Ecco perché può risultare difficile parlare di "parità di condizioni".

Traslocare per avere una chance
La questione centrale su cui dovremmo tutti concentrarci riguarda gli effetti della disuguaglianza sul futuro dei piccoli studenti di oggi e fino a che punto la scuola pubblica possa rappresentare uno strumento di riequilibrio efficace attraverso la promozione di pari opportunità in partenza, per tutti i nostri giovani. Raj Chetty e Nathaniel Hendren, due economisti di Stanford e Harvard, analizzando i dati di più di sette milioni di famiglie, hanno recentemente mostrato quanto il quartiere in cui si cresce influenzi in maniera determinante variabili come il reddito, la probabilità di andare all'università, la fertilità e i modelli parentali, di cui i bambini di quelle famiglie faranno esperienza nel loro futuro ("The impacts of neighborhoods on intergenerational mobility I: Childhood exposure effects," The Quarterly Journal of Economics, 2018, 133 (3), pp. 1107-1162). I risultati di coloro che si trasferiscono in un quartiere migliore crescono del 4% per ogni anno di vita passato nel nuovo quartiere. In questo dato c'è un elemento importante, che ha molto da dire a chi vorrebbe concretamente operare attraverso politiche di inclusione per migliorare le prospettive di chi nasce in una famiglia "svantaggiata".

Quando il quartiere decide il tuo futuro
Il vero nodo dello svantaggio non è tanto, quindi, legato alle condizioni di partenza ma alla segregazione che le condizioni iniziali determinano e, soprattutto, alla mancanza di meccanismi correttivi. Se nasci povero e, per questo, sei costretto a crescere in un ambiente privo di stimoli, di sollecitazioni, di legami sociali significativi e di occasioni formative, allora il tuo destino è segnato. Non tanto perché sei nato povero, ma perché la povertà non scelta ti ha segregato in un ambiente sfavorevole. Ma se, nonostante la povertà originaria, si creano le condizioni per uscire da quell'ambiente deprivato e crescere in uno più stimolante, dove anche l'effetto dei pari esercita una pressione positiva, allora le possibilità che l'ascensore sociale si rimetta in moto crescono significativamente. Purtroppo, i movimenti da un quartiere all'altro sono molto rari, perché, in assenza di politiche pubbliche mirate, si rivelano proibitivamente costosi; una forma di investimento che raramente una famiglia basso reddito può permettersi. Questo elemento cristallizza una situazione che non fa altro che rigenerare disuguaglianza.

Perchè dove si studia conta
I dati mostrano che, a parità di condizioni, lo stesso investimento in istruzione, porterà benefici maggiori se si abita in un quartiere con un reddito medio elevato, rispetto ad uno con un reddito medio più basso. Le ragioni possono essere varie e avere a che fare con la qualità delle scuole, con l'effetto dei pari, con la qualità, cioè, delle relazioni interpersonali, con le norme sociali, le reti di amicizie e l'ampiezza delle opportunità. Tutti questi elementi operano in maniera complementare con il capitale umano cognitivo e non-cognitivo dei bambini, amplificandone o riducendone gli effetti positivi. Si capisce, allora, come, soprattutto in un'economia nella quale il mercato del lavoro va sempre più alla ricerca di conoscenze e specializzazione, le condizioni di partenza portino alla creazione di un equilibrio nel quale la scuola, invece che rappresentare un percorso di emancipazione e di creazione di opportunità e, quindi, maggiore eguaglianza, diventa essa stessa, un meccanismo di riproduzione e di accentuazione delle differenze.

Meno segregazione per avere meno diseguaglianze
La disuguaglianza che è andata aumentando stabilmente negli ultimi dieci anni in tutte le regioni italiane, tranne che in Molise ed Emilia-Romagna, si combatte anche combattendo la segregazione nelle nostre città. E questo dovrebbe coinvolgere, in maniera integrata, la politica nazionale, le amministrazioni locali, i pianificatori, gli urbanisti, la scuola, la società civile organizzata, tutti. Occorre ripensare i nostri luoghi, i quartieri, il trasporto pubblico locale che rende a volte impossibili gli spostamenti, le scuole brutte, dentro e fuori. Per non parlare, poi, delle cosiddette politiche di "decoro urbano". Amministratori che curano il centro delle loro città come il salotto di casa propria e considerano le periferie alla stregua delle cantine dove scaricare inutili rifiuti. Tappeti sotto i quali nascondere il degrado sociale. Per risolvere il problema basta un'ordinanza contro l'accattonaggio in centro o l'istallazione di quelle panchine progettate apposta per evitare che i barboni possano sdraiarcisi sopra. Architettura e urbanistica ostile, anti-umana e de-umanizzante.

A Medellín il valore aggiunto viaggia in cabinovia
Ma invertire la rotta è possibile e, paradossalmente, alcune delle esperienze più interessanti, in questo senso, arrivano da quei paesi che un tempo chiamavamo "in via di sviluppo". Medellín, in Colombia, è una città tristemente nota per il cartello del narcotraffico e per una delinquenza che, fino a poco tempo fa, la rendeva una delle città più pericolose al mondo. Quattro milioni e mezzo di persone che vivono in un centro ricco e moderno, ma soprattutto sulle colline introno al centro, interamente ricoperte da enormi "barrios" fatti di baracche e case abusive. Quartieri cresciuti come funghi, per sovrapposizione, in maniera del tutto caotica. Case che si arrampicano sulle pendici intorno alla valle della Cauca senza lasciare spazio a strade, vie d'accesso, spazi comuni. Più sei povero più vivi in alto, lontano dal centro dove la vita della città si svolge, dove ci sono le scuole e le attività economiche principali.

Un tessuto urbano che porta all'auto-segregazione, visto che, anche volendo, un autobus non potrebbe passare su quelle viuzze e, così, se nasci lì, sei tagliato fuori. Ma qualcosa cambia nel 2004. Visto che gli autobus e i tram non possono arrivare su quelle colline, vengono costruite tre line di cabinovie che collegano i "barrios" con il centro a valle. Nove chilometri di cavi che trasportano ogni giorno 30mila persone e che, velocemente, contribuiscono alla rinascita della città dell'"eterna primavera". Si attiva una risorsa, fatta da migliaia di cittadini che fino a quel momento erano visti come costi, pesi, zavorra appunto. In pochi anni l'occupazione cresce del 15% e si registra un incremento delle attività artigianali del 22 per cento.

I musei di San Paolo spazi pubblici per cittadini attivi
Qualche anno prima di Medellín avevo visitato la Pedreira, una favela nella periferia di San Paolo in Brasile. Un agglomerato urbano dove circa 400mila persone vivono in condizioni di difficoltà, precarietà, abusivismo e disagio economico e sociale. Una delle realtà sociali che opera in quel contesto è "Afago", una Ong che tra le attività di formazione ed emancipazione dei piccoli del quartiere, con lezioni di musica e corsi di capoeira tenuti da volontari, molti dei quali ex-utenti della cooperativa, prevede visite ai meravigliosi musei del centro di San Paolo. Non solo perché la bellezza cura la sofferenza, ma perché anche una visita al museo può essere un atto di cittadinanza attiva, soprattutto se compiuto da bambini che, non certo per scelta, sono nati ai margini di tutto. Quei bambini imparano che la città è anche loro, si impossessano in questo modo dello spazio pubblico, riacquistano centralità; loro che, nati ai margini, ai margini sono destinati a stare per sempre, in assenza di una volontà educativa inclusiva. Anche dalle periferie più estreme, dunque, possiamo imparare come combattere la segregazione alla quale, anche nelle nostre città tanti sono condannati.

Che il neoministro dell'istruzione con il suo sottosegretario twittino pure post indignati contro la scuola romana, ma poi, invece di usarla come capro espiatorio di responsabilità che stanno altrove, si facciano promotori di azioni innovative, profonde ed efficaci, di riorganizzazione e di integrazione che, anche a costo quasi zero, potrebbero, già da ora, contribuire a sollevare dalle schiene di tanti dei nostri studenti la zavorra che il destino di essere nati lì, invece che là, gli ha caricato sulle spalle.

Per approfondire:
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Quali sono le scuole che fanno trovare più velocemente il lavoro
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