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Escort e gioielli in cambio di sentenze di favore, arrestato magistrato di Catanzaro

Secondo gli accertamenti «i provvedimenti favorevoli erano diretti a vanificare, mediante assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai Tribunali del Distretto di Catanzaro

di Ivan Cimmarusti

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2' di lettura

Denaro, gioielli ed escort in cambio di sentenze di favore. In manette a Catanzaro è finito un magistrato della Corte d'Appello, Marco Petrini, in grado di influire su processi penali (aggravati dal metodo mafioso), civili, ma anche sui procedimenti istruiti nelle Commissioni Tributarie. Un “sistema” tangentizio che ha portato agli arresti anche un avvocato di Locri. L’inchiesta della Guardia di finanza di Crotone e dello Scico è coordinata dalla Procura di Salerno, competente a indagare sui magistrati di Catanzaro.

Assoluzioni pilotate
Secondo gli accertamenti «i provvedimenti favorevoli richiesti al magistrato e da quest’ultimo promessi e assicurati erano diretti a vanificare, mediante assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai Tribunali del Distretto di Catanzaro, provvedimenti di misure di prevenzione, già definite in primo grado, o sequestri patrimoniali in applicazione della normativa antimafia, nonché sentenze in cause civili e accertamenti tributari».

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I debiti del magistrato
Stando agli inquirenti il magistrato avrebbe venduto la sua funzione per far fronte alla «grave situazione di sofferenza finanziaria in cui versava». In particolare la Guardia di finanza ritiene che si tratti di una «condizione cronicizzata e assolutamente non risolvibile nel breve periodo che poneva il magistrato stabilmente nella necessità di procurarsi la disponibilità, oltre allo stipendio di magistrato ai compensi quali giudice tributario, di somme di denaro in contanti, anche per mantenere l'elevato tenore di vita».

Il vitalizio dell'ex consigliere in rapporti con la ndrangheta
Tra gli atti “illeciti” compiuti dal magistrato c'è quello di «far riottenere il vitalizio a un ex politico calabrese che, nel corso della V Legislatura regionale ricopriva la carica di consigliere regionale». Questi, infatti, era stato condannato nel 2004 a sei anni di carcere, con interdizione perpetua ai pubblici uffici, per concorso esterno in associazione mafiosa. Inoltre, avrebbe anche «agevolato, per alcuni candidati, il superamento del concorso per l'abilitazione della professione di avvocato».

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