14 gennaio 2020 - 20:40

Caso Catalano, tra attrici e inchieste dure la «Dolce vita» di Peppe

Il giornalista, morto a 77 anni, e la sua epopea a Roma negli anni Sessanta e Settanta tra mondanità, partite a poker e inchieste scritte per L’Espresso sul neofascismo

di Lilli Garrone

Caso Catalano, tra attrici e inchieste dure la «Dolce vita» di Peppe
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Gli occhi azzurri vivaci, sempre molto attenti. Ed un sorriso irresistibile. Giuseppe Catalano, per chi lo conosceva «Peppe», il giornalista di 77 anni scomparso pochi giorni fa in tragiche circostanze a Sant’Oreste, oltre che un famoso redattore dell’Espresso negli anni della strategia della tensione, è stato anche un uomo molto ricercato e molto amato nell’affascinante mondo politico e culturale della Capitale tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta. All’epoca «la Dolce vita» da via Veneto si era trasferita a piazza del Popolo, dove negli eleganti tavolini dei caffè si mescolavano politici, scrittori, artisti ed attrici famose, delle quali era grande amico, come Barbara Bach o Marina Vlady.

Studi dai Gesuiti all’Istituto Massimiliano Massimo, con compagni di scuola come Luca di Montezemolo con cui giocava a pallone e del quale era rimasto amico, o Mario Draghi o l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, Peppe Catalano, acceso tifoso romanista, arrivò all’Espresso presentato dalla sorella Elisabetta, fotografa famosa, allora compagna dello scrittore Fabio Mauri. Oltre che per il settimanale di via Po aveva lavorato anche per Vogue America, ed era amica di Fellini e frequentatrice del giro di artisti che lavoravano a Roma in quegli anni, come Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano, Francesco Clemente e lo scultore greco Jannis Kounellis.

In quel mondo aveva introdotto il fratello, che così iniziò a frequentare posti strepitosi come l’Open Gate, dove le signore andavano a cena con l’abito lungo ed i capelli cotonati e gli uomini in smoking. «Molto più di noi colleghi dell’Espresso», ricorda Paolo Mieli che con lui e con Mario Scialoja divideva la stanza, «era introdotto nella Roma mondana. Ed era molto invidiato: scriveva benissimo, con grande facilità, giocava a poker tutta la notte, era un bravo giornalista d’inchiesta. Divenne grande amico di Lino Jannuzzi (capo dei servizi politici del settimanale e poi nel 1968 Senatore del Partito Socialista) al quale piaceva questo ragazzo bello che aveva amiche come Marina Vlady (moglie di Robert Hossein) o Barbara Bach». Quest’ ultima, allora moglie di Augusto Gregorini, divenne famosissima per aver girato un film con James Bond (allora Roger Moore), «La spia che mi amava» e lasciò in seguito il marito romano per sposare Ringo Starr. Ma sue amiche, che lui portava anche in redazione, erano anche Diane von Furstenberg o la fotografa Alberta Tiburzi.

«Era un cordiale spendaccione, così cominciò a fare lo sceneggiatore cinematografico - aggiunge Paolo Mieli -. Elegantissimo, un gran fumatore di sigaro, divenne un idolo anche per Carlo Gregoretti». L’altro compagno di stanza all’Espresso, Mario Scialoja, ricorda invece: «Quando lui non era alla sua scrivania ci precipitavamo a rispondere al suo telefono, per vedere quale di queste donne bellissime chiamava». E nel ricordarlo su Facebook Scialoja scrive come dei cinque della squadra «di ragazzi» di Lino Jannuzzi negli anni Settanta, che «portava spesso tutti assieme in ottimi ristoranti, perché con i soldi del giornale era di manica larga. E ai camerieri diceva: buon vino per i miei ragazzi, sigari per i miei ragazzi...» siano adesso rimasti “solo in due, io e Paolo Mieli”. «È stato un gradissimo cronista» per Bruno Manfellotto, ex direttore dell’Espresso, « fu quello che segui più di tutti il fenomeno neo fascista. È stato uno dei grandi raccontatori di quella stagione e soprattutto attento all’ incipiente terrorismo nero: chi li finanziava, dove erano, e quale era il loro retrobottega è stato il suo campo di battaglia. Bellissimo e scapolone impenitente, è stato il tipico giornalista di quella stagione». Peppe Catalano se ne è andato dall’Espresso nel 1976 per seguire Lino Jannuzzi a «Tempo Illustrato»: «Da allora non l’ho più visto - dice Mario Scialoja - e ogni volta che chiedevo notizie a sua sorella Elisabetta mi rispondeva: “Si è completamente perduto, ha litigato anche con la famiglia, non si sa quello che fa, gioca a poker e vive da solo in una casa fuori Roma». Anche il fratello Francesco, che vive in Puglia non lo sentiva «da tre anni».

«Da giovane era fantastico - aggiunge - ma poi si è richiuso in sé stesso, in totale abbandono, e si è perso. Si sono stupiti che non avesse numeri sul cellulare, ma lui non aveva neanche il computer, batteva ancora a macchina e poi portava in copisteria». L’ultimo lavoro di cui si sappia è stato con Carla Martino, sorella del ministro Antonio, agli inizi degli anni 90 in un’agenzia di comunicazione. In quell’epoca l’incontro con Cinzia Tani: «Siamo stati fidanzati a lungo - racconta la scrittrice e giornalista - e siamo rimasti amici per tanto tempo. Quando mi offrirono di dirigere “Elite” ed ero molto impaurita mi ha aiutato con generosità, intelligenza e disponibilità, cosa che non è da tutti gli uomini. È stato un grandissimo giornalista che ha avuto delle vicissitudini che non gli hanno reso quello che avrebbe meritato». Toni Concina, manager della comunicazione ed ex sindaco di Orvieto dove vive, l’ha visto negli ultimi tempi qualche volta «alla pizzeria “Tesone” di Felice in Prati, che adesso perderà un grande spirito» e Luca di Montezemolo l’ha incontrato qualche volta all’Hungaria. Ma, per lo più, sono stati anni di silenzio.

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