Donna Rotunno, l’avvocata che difende Weinstein e accusa il #Metoo

di Elena Tebano
Harvey Weinstein, 67 anni, con la sua avvocata Donna Rotunno, 44, all’ingresso in tribunale (Ap)Harvey Weinstein, 67 anni, con la sua avvocata Donna Rotunno, 44, all’ingresso in tribunale (Ap)
Harvey Weinstein, 67 anni, con la sua avvocata Donna Rotunno, 44, all’ingresso in tribunale (Ap)

«Non mi ha sorpreso ricevere la telefonata. Io mi occupo di questo tipo di casi» ha detto Donna Rotunno, 44 anni, italoamericana di Chicago, della chiamata nella quale le è stato chiesto di difendere Harvey Weinstein, 67, l’ex produttore di Hollywood accusato di essere uno stupratore seriale. «Questo tipo di casi» significa uomini accusati di stupri particolarmente gravi. Rotunno ha preso la guida del team legale di Weinstein dopo che due altri avvocati tra i migliori degli Stati Uniti avevano rinunciato alla difesa, sia per le critiche ricevute dall’opinione pubblica sia perché Weinstein si è rivelato un cliente «irragionevolmente difficile», che assedia di richieste e imposizioni i suoi avvocati. Weinstein ha voluto Rotunno anche perché è una donna. «Durante i controinterrogatori alle donne in un’aula di tribunale me la cavo molto meglio di un avvocato maschio — ha detto lei in passato —. Se un uomo si mettesse contro una donna con la mia stessa acredine sembrerebbe un bullo, se lo faccio io, nessuno batte ciglio».

Laureata al Chicago Kent College of Law, Rotunno ha lavorato per alcuni anni come assistente del Procuratore di Stato in Illinois, occupandosi di casi di violenza domestica e di reati. Poi è diventata avvocato difensore e a 29 anni ha aperto il suo studio. Si è fatta conoscere presto per la sua capacità di ottenere assoluzioni per presunti stupratori. A volte si presenta in tribunale con al collo una catenina d’oro con su scritto «not guilty» («non colpevole»), sempre elegantissima e in tacchi alti. È famosa per la ferocia con cui interroga le vittime che accusano i suoi clienti. Il New York Times racconta che una volta, dopo aver sottoposto una 15enne che aveva subito uno stupro a una serie di domande brutali, ha chiesto al procuratore del caso di passarle un messaggio: «Dille che avevo un lavoro da fare. Non voglio che questo definisca ciò che le succede». La sua difesa in aula è tutta basata sulla sconfessione del movimento #Metoo che chiede di riconoscere come le molestie e le violenze sessuali siano un fenomeno endemico e di credere — salvo prove contrarie — alle donne che denunciano (ed era emerso proprio con il caso Weinstein).

«Il pendolo oscilla così tanto in direzione di una eccessiva sensibilità che gli uomini non possono essere veramente uomini e le donne non possono essere veramente donne» ha detto invece Rotunno in un’intervista a Vanity Fair. «Credo che le donne rimpiangeranno il giorno in cui tutto questo è iniziato, quando nessuno chiederà loro di uscire, e nessuno terrà loro la porta aperta, e nessuno gli dirà che sono carine». A fine dicembre ha scritto un editoriale su Newsweek accusando i media di aver già processato e condannato Weinstein. E finora ha impostato tutta la sua difesa — anticipata nelle interviste rilasciate da quando a maggio è diventata la sua avvocata — sull’idea che il sesso tra l’ex produttore e le sue accusatrici sia sempre stato consensuale. «Penso che sia facile guardarsi indietro e dire: forse non ho amato quell’esperienza» ha affermato Rotunno. «Il sesso che poi si rimpiange non è stupro». E ancora: «I procuratori diranno che Harvey Weinstein era quest’uomo potente che poteva ottenere tutto quello che voleva, e si è dato da fare per ottenere tutto quello che voleva. Io la vedo esattamente nel modo opposto. Guardo Harvey Weinstein e dico: era quello che aveva le chiavi del castello in cui tutti volevano entrare. E quello che la gente faceva era usarlo, e lo usava, e lo usava, e lo usava, e lo usava». Nelle prossime settimane si vedrà se la sua difesa risulterà convincente in tribunale. Il processo, iniziato il 6 gennaio, è ancora alla selezione dei giurati, ma Rotunno è già riuscita a fare infuriare chiunque si occupi di violenza sulle donne e buona parte dell’opinione pubblica.

Il procedimento penale riguarda due casi: quello di una donna rimasta anonima che accusa Weinstein di averla stuprata nel 2013 in un hotel di New York, e quella della ex collaboratrice di Weinstein Mimi Haleyi, che ha raccontato di essere stata costretta a un rapporto orale nell’appartamento del produttore, a Soho, Manhattan. Poi c’è quello che Rotunno ha definito il «processo sui media», le testimonianze di almeno 80 donne tra cui Salma Hayek, Gwyneth Paltrow, Asia Argento, Angelina Jolie e Uma Thurman, raccolte con determinazione e accuratezza dai media. Tutte le vittime raccontano di essere state molestate o violentate da Weinstein secondo un modus operandi ricorrente, anche se molti degli abusi sono caduti in prescrizione mentre in altri casi le accuse sono state «sterilizzate» da accordi extragiudiziali per i quali finora Weinstein ha pagato 25 milioni di dollari. Il fatto che non siano dimostrabili in tribunale non significa di per sé che non siano fondate.

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