7 gennaio 2020 - 22:06

Iraq, caos sul ritiro delle truppe. Gli Usa: grazie Italia

Il Pentagono: non ci muoviamo. Il ministro di Trump chiama Guerrini. La minaccia degli attacchi con i droni

di Lorenzo Cremonesi, inviato a Bagdad

Iraq, caos sul ritiro delle truppe. Gli Usa: grazie Italia
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«Non c’è alcun ritiro italiano o delle altre forze che compongono la coalizione internazionale da Baghdad», ripetono nette da martedì mattina alte fonti militari occidentali nella capitale irachena. E lo stesso messaggio è stato espresso in serata per telefono dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini al Segretario di Stato alla Difesa Usa, Mark Esper. L’Italia, come del resto diversi tra la settantina di Paesi partner della coalizione che in Iraq conta in tutto circa 10.000 soldati, chiede però «maggior coordinamento» agli Stati Uniti. E ciò per rimarcare che l’assassinio cinque giorni fa di Qassem Soleimani ha colto tutti i partner impreparati ed esposti anche nelle gravissime conseguenze che sta provocando. La richiesta a Washington è di «condividere le strategie» nel futuro.

Esper ha espresso soddisfazione. «Thank you minister Guerini per il forte segnale positivo della scelta italiana di restare», ha twittato. Quello italiano con 926 uomini, di cui circa 250 a Baghdad e il resto nella grande base presso l’aeroporto di Erbil nelle province curde settentrionali, è il secondo contingente per rilevanza numerica dopo gli oltre 5.200 soldati americani. Al loro fianco restano anche i francesi, gli inglesi, i tedeschi (sebbene non stiano effettuando i ricambi e ora abbiano una quarantina di uomini in meno) e sino a martedì sera la grande maggioranza delle altre componenti.

Tuttavia, la situazione è in forte evoluzione. La Nato sposta alcuni dei suoi circa 500 uomini (per lo più turchi, spagnoli e canadesi) in Kuwait e altre basi fuori dall’Iraq. La coalizione è come sospesa, il ritiro resta un opzione sul tavolo. Per far fronte al rischio di attacchi di mortaio contro la Union3, il campo militare ampio circa tre chilometri quadrati posto a poche centinaia di metri dall’ambasciata Usa nella «zona verde» della capitale, l’altra notte una quarantina di italiani (in grande maggioranza Carabinieri) sono stati spostati via elicottero a Camp Dublin nelle vicinanze dell’aeroporto internazionale, una decina di chilometri in linea d’aria più a ovest, sempre comunque nella regione di Bagdad. «Certo si vuole evitare ci siano troppi soldati nella zona verde sotto tiro dei mortai. Non c’è alcun ritiro, solo un logico ridispiegamento», aggiungono i comandi di Bagdad. A Union3 resta ora il generale Paolo Attilio Fortezza con il suo staff e una quindicina di soldati del corpo di guardia, in attesa di essere probabilmente anche loro trasferiti. Ma intanto tutte le attività di addestramento dei militari e della polizia irachena per cui lavorano gli italiani e larga parte degli altri contingenti sono interrotte. «Che senso avrebbe restare se gli addestramenti restano fermi a lungo?», chiedono gli ufficiali. C’è confusione e attesa sul ruolo futuro dell’intera missione.

Una confusione che riflette del resto le acute tensioni emergenti dal Pentagono. Martedì l’amministrazione Usa ha dovuto fare i conti con una lettera inviata l’altra notte dalle autorità statunitensi al governo iracheno in cui si affermava di essere pronti a ritirare le proprie truppe in risposta alla decisione votata a maggioranza dal parlamento di Baghdad domenica per chiedere il ritiro «di tutti i contingenti internazionali». Il commento più diffuso è che tale lettera riveli i laceranti dissensi interni all’amministrazione americana, specie tra i massimi responsabili militari, contro le mosse di Trump. Il premier iracheno Abdul Mahdi annuncia comunque di considerare la lettera valida e di attendersi il ritiro Usa al più presto. Esper chiarisce: «Non intendiamo affatto ritirate i nostri soldati». «Il nostro ritiro sarebbe la soluzione peggiore, rafforzerebbe il ruolo iraniano. Prima o poi lasceremo l’Iraq. Ma non ora», aggiunge Trump. Intanto Putin va a Damasco per un colloquio con Bashar Assad, il più fedele alleato dell’Iran nella regione. E l’intelligence Usa studia le possibili rappresaglie iraniane, che variano dall’utilizzo di droni contro alti ufficiali americani, ad attacchi alle petroliere nel Golfo, sino a gravi attentati alle ambasciate Usa nel mondo.

L’allerta è altissima. Proprio ieri sera il vice-ambasciatore Usa in Kuwait ha informato il nostro ambasciatore che 40 droni avevano superato il confine iracheno e si trovavano in Kuwait. Il personale diplomatico Usa di comando e controllo si è trasferito all’interno delle proprie rappresentanze diplomatiche. E anche il nostro personale, allertato dall’intelligence italiana, su disposizione del capo missione si è chiuso nei locali protetti dell’Ambasciata con i propri familiari. Si temono attentati portati con velivoli senza pilota.

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