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Manca il portale telematico, la class action slitta a ottobre

Nella bozza del decreto Milleproroghe l’entrata in vigore della class action “liberata” dal Codice del consumo (dove aveva latitato per sette anni, praticamente senza trovare applicazioni) slitta a ottobre del 2020, rispetto alla data prevista inizialmente di metà aprile

di Alessandro Galimberti

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3' di lettura

La class action destinata a rivoluzionare le azioni collettive deve attendere sei mesi in più. Nel decreto Milleproroghe l’entrata in vigore della class action “liberata” dal Codice del consumo (dove aveva latitato per sette anni, praticamente senza trovare applicazioni) slitta a ottobre del 2020, rispetto alla data prevista inizialmente di metà aprile.

Per quanto possa sembrare paradossale, lo scivolamento è dovuto a una banale questione informatica, la mancata realizzazione del portale di servizi telematici a cura del ministero della Giustizia. Il portale è previsto nel nuovo articolo 840-ter del Codice di procedura civile (dove la class action è migrata con la riforma dello scorso aprile) e ha lo scopo di assicurare la pubblicità/reperibilità delle informazioni relative alle domande di azione di classe.

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La funzione della bacheca virtuale
È evidente che, da un punto di vista tecnico, la “bacheca virtuale” svolge un funzione decisiva, soprattutto in termini di pubblicità delle azioni di classe.Per capirci, trascorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell’area pubblica del portale dei servizi telematici non possono essere proposte ulteriori azioni di classe sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente, non solo, quelle proposte sono cancellate dal ruolo. Senza portale telematico delle class action, in sostanza, il processo collettivo non può partire, mancandogli un pezzo fondamentale e procedurale.

La nuova azione di classe, che a questo punto dovrà attendere almeno altri dieci mesi salvo ulteriori sorprese, è disciplinata non più,dagli articoli 139, 140 e 140 bis del Codice del consumo ma dal libro quarto del Codice di procedura civile dove viene innestato dal legislatore.
La migrazione non è solo “di stile” visto che cambiano radicalmente i presupposti dell’azione collettiva: sparito il riferimento al «consumatore», che circoscriveva notevolmente il perimetro del rapporto, la titolarità passerà a chiunque ritiene siano stati violati diritti (ma non interessi) individuali omogenei e per qualsiasi forma di responsabilità (per esempio quella relativa a danni all’ambiente oppure alla salute).
Il flop della vecchia procedura
Di certo la “vecchia” azione collettiva - quella tuttora in vigore - si è rivelata un autentico flop, almeno quanto a numeri. Difficile ottenere cifre ufficiali, visto che il ministero della Giustizia non ha mai proceduto a un censimento, ma un’indagine del Sole 24 Ore del 2017 aveva rintracciato 2 soli casi esperiti.
La legge 31/2019 ha esteso la class action a tutti coloro che lamentano una violazione di diritti individuali omogenei, di fatto aprendo alla responsabilità extracontrattuale. Non solo, la nuova disciplina prevede la possibilità di una quota lite per gli avvocati e un compenso per il rappresentante di classe, soggetti più incentivati a rendersi promotori di azioni collettive.
Tra le modifiche sostanziali, ma che a questo punto dovremo attendere per un altro anno, anche il diritto di aderire alla class action (opt in), esercitabile nel termine perentorio ricompreso tra i 60 e i 150 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza con la quale il Tribunale dichiara l'ammissibilità dell'azione (articolo 840-quinquies del Codice di procedura civile). Ma per poter “optare” serve appunto il portale che oggi non esiste e non sarà pronto prima di ottobre 2020.

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