22 dicembre 2019 - 22:57

Milan, dopo la batosta con l’Atalanta è tutti contro tutti: Maldini è più debole, la frase di Boban irrita Elliott

«Sul mercato faremo del nostro meglio rispetto a quello che ci permetteranno di fare». Ma la proprietà ricorda che nel 2019 sono stati spesi (male) 160 milioni

di Carlos Passerini

Milan, dopo la batosta con l'Atalanta è tutti contro tutti: Maldini è più debole, la frase di Boban irrita Elliott
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Più che nell’umiliazione dei cinque gol a zero, roba che al Milan non capitava da oltre vent’anni, più che nelle facce scioccate dei dirigenti in tribuna, più che nella disgraziatissima classifica che è lì da vedere, il senso più autentico e profondo di questo Atalanta-Milan 5-0 che per entrambe è già un pezzo di storia sta tutto nelle lacrime finali di Gigio Donnarumma. Un pianto vero, bambino, irrefrenabile. Il suo preparatore Gigi Turci che prova a consolarlo, abbracciandolo come un padre. Qualche metro più in là, Gomez e Ilicic saltano e ballano insieme ad altri 20mila bergamaschi impazziti di gioia. Scena madre, questa, di un pomeriggio rossonero cupo e disgraziato come nella storia centoventennale del club ce ne sono pochi. Perché un conto è perdere, un altro è perdere così. L’Atalanta è l’Atalanta, già. Questa Atalanta. Ma il Milan è il Milan. O almeno dovrebbe esserlo. E il Milan non può perdere così, farsi umiliare.

Impossibile non farsi una domanda, dopo quei cinque gol, dopo quelle lacrime: come può il Milan, questo Milan, pensare realmente di trattenere ancora a lungo un talento come Donnarumma, il cui contratto scade fra un anno e mezzo? O come Paquetá, finito nel mirino del Psg dell’ex d.t. rossonero Leonardo, che fa il suo mestiere e ora cerca di portarselo a Parigi? O come il formidabile Theo Hernandez, la cui assenza per squalifica ieri si è fatta drammaticamente sentire? Più il Milan perde, più perde valore, più perde appeal. Più quindi rischia di perdere talenti, altro che trovarli. Tutto è legato: campo, conti, squadra, allenatore, dirigenza, proprietà. Tutti colpevoli di questo sprofondo rossonero, nessuno escluso, ognuno per la propria quota parte.

Pioli non rischia, questa è una certezza, resta al suo posto. I miglioramenti, fatta eccezione per l’horror show di ieri, ci sono stati. In più è ormai chiaro a tutti che il problema non è l’allenatore. La disfatta di Bergamo ha incendiato però l’aria ai piani alti, che era in realtà già incandescente. Cenere che covava sotto la polvere. Gasperini non ha fatto altro che accendere la scintilla. E il Milan ora è una spaventosa polveriera.

Tutti contro tutti, a rimpallarsi le responsabilità. Quel «sul mercato cercheremo di fare del nostro meglio rispetto a quello che ci permetteranno di fare» pronunciato da Boban ha mandato Elliott su tutte le furie. Il nodo dello scontro sta lì. Con la proprietà a ribattere che i 160 milioni investiti solo nel 2019 non sono pochi, ma sono stati spesi male. Tutta la dirigenza è sotto accusa, nel mirino di Elliott c’è però soprattutto il d.t. Maldini, al quale viene imputata la responsabilità d’aver costruito una squadra che ha il quarto monte ingaggi della A ma che a fine dicembre è miseramente undicesima. Tanto che diverse anime della proprietà sono sempre più convinte che farebbe bene a dimettersi. La posizione dell’antico capitano dei tempi gloriosi è sempre più debole, sempre più fragile. Come sempre più debole e fragile è questo povero Diavolo, che una volta faceva gioire o arrabbiare, ora solo piangere.

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