19 dicembre 2019 - 18:53

A Chernobyl si torna a produrre la vodka, la segale non è più radioattiva

Ricercatori britannici hanno avviato una distilleria nell’area abbandonata intorno alla Centrale. Il problema oggi è l’economia, non le radiazioni

di Elena Comelli

A Chernobyl si torna a produrre la vodka, la segale non è più radioattiva
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La zona di esclusione» di Chernobyl ricomincia a dare frutti. Un gruppo di ricercatori inglesi ci ha seminato un campo di segale e dai chicchi di quelle spighe ha distillato la vodka Atomik, il primo prodotto alimentare proveniente dall’area abbandonata intorno alla centrale nucleare ucraina esplosa il 26 aprile del 1986. «Il risultato? Non è più radioattiva di qualsiasi altra vodka», spiega Jim Smith, professore di Scienze ambientali all’università di Portsmouth, che ha guidato il team nel progetto e punta a dimostrare quanto sia innocuo ormai quel territorio.

L’acquavite artigianale è stata ottenuta dai chicchi di segale cresciuti nell’area sigillata dopo la catastrofe, lievemente contaminati, e dall’acqua raccolta nella zona di esclusione, ma non contiene niente di pericoloso. «Qualsiasi chimico può spiegare che nel processo di distillazione le impurità radioattive restano fra le scorie», precisa Smith. «Abbiamo chiesto ai nostri colleghi dell’università di Southampton di controllare con gli strumenti del loro laboratorio specializzato se c’era ancora radioattività - racconta - e non hanno trovato nulla».

Il disastro di Chernobyl è stato il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare e uno dei due incidenti classificati come catastrofici con il livello massimo della scala, insieme con l’incidente avvenuto nella centrale di Fukushima nel marzo 2011. Ma il suo esito finale è risultato molto meno drammatico di quanto la sensazione collettiva si aspettasse. In particolare il numero delle vittime accertate per le conseguenze del disastro oscilla fra 30 e 65: persone morte nella maggior parte dei casi per colpa della carenza di informazioni sulla gravità dell’incidente, tenuto segreto per giorni dalle autorità sovietiche.

Nel corso del suo lavoro a Chernobyl, a partire dagli anni Novanta, Smith è rimasto colpito dal fatto che le condizioni economiche per le persone sono rimaste ostinatamente disastrose, mentre la natura circostante si è lentamente ripresa. «Esistono punti caldi ancora radioattivi nella zona di esclusione, ma nella maggior parte del territorio la contaminazione è inferiore a quella che si potrebbe misurare in altre parti del mondo con radiazioni naturali relativamente elevate», sostiene Smith. E aggiunge: «Dopo trent’anni penso che il problema più importante dell’area sia lo sviluppo economico, non la radioattività».

Ora la Chernobyl Spirit Company, composta anche da scienziati ucraini, si potrà mettere seriamente al lavoro. Dopo questa prima bottiglia, la società conta di produrne almeno altre 500. «Non c’è più motivo di lasciare queste terre abbandonate», rileva Gennady Laptev, dell’Istituto idrometeorologico ucraino, tra i fondatori della società di produzione di Atomik. «Possiamo usarle in diversi modi e possiamo produrre qualcosa che sarà totalmente privo di radioattività». L’obiettivo della Chernobyl Spirit Company non è fare utili, ma aiutare le famiglie che sono rimaste ad abitare subito fuori dalla zona di esclusione, in condizioni miserabili, perché non sono più riuscite ad avviare delle attività economiche.

Smith, che lavora nella zona colpita fin dagli anni Novanta, è molto impressionato dal fatto che la natura sia riuscita a riprendersi, ma i villaggi intorno siano rimasti poverissimi. «Le persone che abitano da queste parti non hanno lavoro né un’alimentazione sana o servizi sanitari decenti», sostiene Smith. Di conseguenza, sono in pessime condizioni, non per la radioattività, ma semplicemente per la vita precaria che conducono. La società punta a devolvere i tre quarti dei propri utili ai locali e a utilizzare il resto per far crescere l’azienda, sperando con il tempo di far tornare qualche investimento in quest’area abbandonata sia dallo Stato che dall’impresa privata.

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